Farewell to Language (2014) di Jean-Luc Godard rivela per la prima volta i poteri delle tecnologie di rilievo digitale.
Apre un vasto orizzonte di possibilità di visualizzazione nel contesto del cinema digitale standardizzato. L’addio al linguaggio riflette meno un desiderio di regressione verbale che un desiderio di critica radicale dello stato del linguaggio nel 21° secolo , sia esso umano, tecnico o informatico.
Il linguaggio è stato ridotto, secondo Godard, alla comunicazione, che si manifesta attraverso la proliferazione di strumenti e reti digitali, immagini, parola o scrittura e ha una relazione molto poco seria con il significato. Ma il pericolo insito nella comunicazione è che impone una logica, non quella della ragione che si esercita, ad esempio, nella formalizzazione della matematica o nella filosofia, ma quella che Hannah Arendt analizza nelle sue conclusioni su Le origini del totalitarismo: “È non è il contenuto delle ideologie, ma la logica stessa secondo cui i leader totalitari le usano a produrre questo terreno familiare e l’infallibile certezza del diritto”.
Pertanto, il sistema di comunicazione è visto da Godard come relativo a questa facoltà umana capace di costringere gli altri a sottoscrivere qualsiasi affermazione o istruzione indipendentemente dalla complessità dei fatti e delle esperienze. In Addio al linguaggio, rivela i legami storici che intrecciano le tecnologie cinematografiche: la televisione (iconoscopio) di Vladimir Zworykin apparve nel 1933 proprio nel momento in cui Hitler fu eletto Cancelliere in Germania; il segnale video e la texture contaminano le tecnologie digitali nella sequenza dello schermo al plasma che mostra la “neve”, questo rumore residuo che prima veniva rilevato dall’antenna terrestre e visualizzato dal tubo catodico; sullo stesso schermo compaiono estratti digitalizzati di Metropolis (1927), che sostengono l’opuscolo di Fritz Lang come presagio delle catastrofi della società digitale del 21° secolo ; Godard fa il nome di Jacques Ellul, un pensatore che già dall’inizio degli anni Cinquanta aveva anticipato i legami tra totalitarismo e tecnologia digitale emergente ; l’ultimo cartoncino goffrato annuncia il 3D come una “disgrazia storica”, riecheggiando una frase del cortometraggio di Godard 3Désastres (2012), “il digitale sarà una dittatura”.
Per il cineasta, sviluppare un film contro la logica delle tecnologie digitali 3DS all’inizio di questo secondo decennio del XXI secolo equivale ad affrontare un’intera storia – umana, tecnica e scientifica – che ha plasmato il linguaggio come strumento di potere .e di dominio, creando desolazione attraverso la distruzione del pensiero, dei legami tra le persone, smantellando il sentimento di utilità e di bisogno di creare di ciascuno e, infine, sostituendo una rigida griglia di lettura con una ricca percezione del mondo.
Ma tutto è linguaggio, ci ricorda il cineasta, nel senso che si tratta sempre dell’alleanza tra il corpo e la voce, tra il tu e l’espresso, tra l’ignorato e il conosciuto, tra l’umano e la tecnologia, il tempo e spazio, suono e immagine. Un’alleanza che solo il cinema è capace di realizzare, a differenza della musica, della letteratura e della pittura. Un’alleanza di opposti e differenze che quindi non ha nulla a che vedere con la coincidenza a cui è soggetto il 3DS industriale. L’addio al linguaggio offre un’estensione: multiscopia e multifonia.
Fino alla metà degli anni 2000, i sistemi di proiezione stereoscopica funzionavano con due bobine (occhio destro, occhio sinistro), due corridoi di proiezione e due lenti separate. Il d-cinema consente la proiezione stereoscopica da un’unica sorgente per tutte le soluzioni 3DS, inclusi il doppio obiettivo Sony e i chip SXRD , decodificati da occhiali attivi (gestendo l’intero processo di separazione occhio sinistro/occhio destro) o passivi (semplicemente filtrando i segnali polarizzati per ciascun occhio dal proiettore); questa sorgente unica e i relativi dispositivi sono stati standardizzati dal 2009 con l’obiettivo di creare nello spettatore un’illusione di profondità o di immersione. Al sistema unificato delle tecnologie digitali per la visualizzazione del rilievo, Godard oppone tecniche di disaccoppiamento della fonte per esplorare tutta l’ampiezza delle forme plastiche di sfocatura in 4D, relegando la stereoscopia a un effetto singolare che ha esercitato per troppo tempo la sua influenza sui cineasti e spettatori.
L’artista sanziona il 3DS: “Ciò che mi interessa è che non sia interessante. Non ha alcun interesse: vediamo su uno schermo piatto una sorta di follia che vuole assolutamente farci credere che non sia piatto. » Rifiuta la fusione rappresentata dall’illusione della profondità “realistica”: applicazione letterale dell’ottica fisiologica (fenomeno della visione binoculare) di Charles Wheatstone nel 1838, la stereoscopia non riesce a raggiungere l’altro spaziale e temporale. Se infatti consideriamo che lo scienziato inglese propose di chiamare la sua invenzione “Stereoscopio” per “indicare la sua proprietà di rappresentare figure solide”, notiamo che il 3DS, un semplice miglioramento nell’era digitale dei principi scoperti dallo scienziato inglese , sceglie di ignorare la dimensione temporale e restringe quindi la sensazione dello spazio, poiché, come sappiamo, le quattro dimensioni sono collegate. Una soluzione per contraddire il 3DS è quella di dividere l’unica sorgente del proiettore e, quindi, riprogrammare la rilevazione stereoscopica.
Capiamo anche che la coppia in questione nel film, che non può più funzionare come duo, diventa secondo Godard la metafora del cinema. Infatti, l’idea del disaccoppiamento è per lui fondamentalmente legata all’invenzione delle condizioni tecniche a partire dalle quali lo spettatore crea lo spazio-tempo del film. In un’intervista del maggio 2010 alla redazione di Mediapart 12 , in occasione dell’uscita di Film Socialisme (2010), ha spiegato che la maggior parte dei film non offre più la sensazione del tempo, e nemmeno dello spazio: sono in 2D e non in 4D. Egli pretende, come pratica in Film Socialisme , di separare le fonti immagine e sonora – un primo piano di un personaggio che parla e la sua voce posta a sinistra o a destra nella stanza – per operare così una divisione delle parti che lo spettatore, reso più vigile, riunisce. Pertanto, il rilievo dinamico è l’essenza stessa dell’esperienza della percezione filmica per Godard.
Applicate alle tecnologie 3DS, le tecniche di disaccoppiamento coprono una gamma eterogenea di processi finalizzati al 4D. L’abilità e il virtuosismo dell’artista stanno nel riuscire a creare nuove forme plastiche sfocate che sono rigorosamente intrinseche a questa modalità di visualizzazione. Le sfocature monoscopiche esplorate da Godard sono le seguenti:
Le sfocature sono tutte reinventate attraverso il loro rilievo dinamico e la prospettiva: forme, texture, qualità e quantità vengono aumentate e, di conseguenza, le impressioni e le sensazioni nello spettatore vengono modificate in profondità. Infatti, quelli che si riferiscono ad algoritmi hardware , quindi ad una realtà materiale in 4D (trasformazione ottica o modulazione del campo luminoso nella lente) vengono improvvisamente dotati delle proprietà che mancavano, come se fossero stati improvvisamente decompressi e riacquistati la loro natura originaria conquistando dimensioni spaziali e temporali che prima erano solo figurative. Tutti i fenomeni, luminosi o tecnici, vengono visualizzati nella loro pienezza: il campo luminoso o anche la lunghezza e il diametro dell’ottica diventano improvvisamente realtà tangibili. Ma, allo stesso tempo, sono duplicati: i bagliori , ad esempio, uscendo da due lenti che non hanno lo stesso asse ottico, hanno ciascuna una configurazione diversa che si sovrappone solo parzialmente all’altra; inoltre formano un fenomeno 4D disgiunto. Per quanto riguarda le sfocature che riguardano più gli algoritmi software ( scontro dell’entropia, estrazione di dati) e che quindi hanno solo dimensioni spaziali 2D, viene data loro, con nostra più grande sorpresa, una terza dimensione: video neve, colori, artefatti video, artefatti digitali, sembrano aumentare di volume come se i pixel fossero diventati voxel.
Altre sfocature furono inventate da Godard per la prima volta nella storia dell’arte cinematografica. Innanzitutto le composizioni di prospettive spazio-temporali: il cineasta, citando Louis-Ferdinand Céline, introduce il piatto (sbarre, griglie, superficie dell’acqua, superficie di ghiaia) nella profondità, creando nello spettatore l’impossibilità di scegliere la percezione che egli ha dello spazio-tempo: in particolare in questi piani inclinati dove si ha l’impressione che il suolo sembri voler emergere nella stanza mentre è contenuto dalla cornice dello schermo, e contemporaneamente formare una zona piana mentre il resto sprofonda in profondità . L’artista distorce anche le dimensioni e la posizione degli oggetti e dei corpi dall’altro lato della finestra aperta che lo schermo è diventato all’interno della stanza, il che ha l’effetto di trasformare il rettangolo della finestra aperta in variazioni trapezoidali. Quindi, Godard spinge le parallassi spaziali e temporali ai loro limiti. In un primo piano di una donna davanti allo specchio, utilizza due telecamere vicine all’attrice e regola la messa a fuoco di ciascuna lente su una parte del viso in un quarto dell’immagine. Gli assi ottici delle telecamere formano un angolo aperto.
Ciascuna lente genera il proprio piano di messa a fuoco con una sfocatura sempre più accentuata nella profondità e nel riflesso sullo specchio. Il cervello dello spettatore cerca di sintetizzare le due sfocature, ma poiché esse non possono coincidere e, inoltre, l’assenza di dettaglio toglie ogni presa allo sguardo, lo spettatore prova la curiosa sensazione di non vedere la sfocatura che tuttavia gli si rivela più e più volte. più di tre quarti dell’immagine: vede due sfocature che coesistono senza fondersi. In altre sequenze, il regista gioca maggiormente con la parallasse temporale. Così, quando un personaggio si muove lungo l’asse centrale, le telecamere non convergono per mantenere il rilievo: la figura umana raddoppia.
Allo stesso modo, ma in modo molto più radicale, quando una delle due telecamere segue un personaggio che esce dal campo profondo, mentre l’altra rimane nel suo asse, l’elaborazione cerebrale sintetizza i due diversi segnali che arrivano attraverso ciascun occhio, fino a quando la fotocamera ritorna nella sua posizione originale dove questa sfocatura viene risolta. Non si tratta ovviamente di una sovrapposizione: lo spettatore crea per alcuni secondi un flusso visivo mentale che risulta dalla mescolanza dei due segnali. Godard cita a questo proposito un brano di un’analisi di Proust su Claude Monet: “Quando, il sole già penetrante, il fiume dorme ancora nei sogni della nebbia, noi non lo vediamo più di quanto esso non veda se stesso. Qui è già il fiume, ma lì la vista si ferma, non vediamo altro che il nulla, una nebbia che ci impedisce di vedere oltre. A questo punto sulla tela non dipingiamo nemmeno ciò che vediamo perché non vediamo più nulla,né ciò che non vediamo poiché dobbiamo solo dipingere ciò che vediamo, ma dipingere ciò che non vediamo, che il fallimento dell’occhio che non può navigare sulla nebbia gli viene inflitto sulla tela come al fiume, è molto bello”.
Godard sembra importare nel suo cinema questa analisi rilevante: filmare ciò che non vede. Convinto che percepiamo solo un aspetto della realtà, dimostra che siamo limitati dalla visione binoculare convergente. Ma, anziché sottoscrivere completamente la conclusione di Proust e farci sperimentare il fallimento della nostra visione, egli ce ne libera e ci permette di esplorare, attraverso il disaccoppiamento dell’unica fonte, ciò che si trova appunto inaccessibile ai nostri due occhi adiacenti.
Con Farewell to Language, Godard rivoluziona la visualizzazione nell’era digitale offrendo forme plastiche 4D e 2x4D senza precedenti nell’intera storia delle immagini. Di un’inventiva travolgente ed emancipatrice per lo spettatore, il film nasce soprattutto da un addio categorico a tutto ciò che programmerebbe la creazione e la percezione; È dunque un luminoso rifiuto quello che Godard fa affermare chiaramente per tre volte al suo personaggio femminile: “Sono qui per dire no, e poi morire”. Quale proposta più bella avrebbe potuto fare allo spettatore del 21° secolo , celebrando la resistenza assoluta e un’idea alta di ciò che può fare un’esistenza?
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