Il sistema previdenziale non è equo: gli operai non sono come i dirigenti, muoiono prima: serve un cambiamento

L’Inps lancia un allarme chiarissimo: gli operai vivono meno dei dirigenti. Pertanto il sistema previdenziale non è equo.

Il sistema previdenziale italiano presenta diversi problemi,  non da ultimo quello della mancanza di equità. Vediamo insieme tutti i dettagli.

Problemi di sistema previdenziale
Gli operai vivono meno dei dirigenti/Lafuriaumana.it

Il sistema previdenziale in Italia non è equo. A dirlo è l’Inps. E non si basa unicamente sul fatto che alcuni hanno pensioni da sogno mentre altri pensioni da fame. Un altro nodo cruciale di cui non si parla quasi mai è la durata della vita media. E anche il lavoro che svolgiamo e lo stipendio che percepiamo incidono sulla durata della vita.

Chi fa un lavoro più gravoso e usurante ha maggiori probabilità di ammalarsi di chi svolge un lavoro più tranquillo e fisicamente meno faticoso. Chi percepisce uno stipendio alto ha più possibilità di accedere a cure e fare esami diagnostici anche in cliniche private. Di conseguenza il nostro lavoro incide anche sulla durata della nostra vita.

Ecco perché il nostro sistema previdenziale non è equo

L’istituto di previdenza sociale ha puntato il dito contro l’iniquità del sistema previdenziale italiano che non terrebbe in dovuto conto la differenza dell’aspettativa di vita media a seconda del diverso mestiere che si svolge.

Il sistema previdenziale non è equo
Il sistema previdenziale non tiene conto di differenze importanti/ Lafuriaumana.it

Dai dati presentati dall’Inps, un operaio, in media, vive 5 anni in meno di un dirigente. Di conseguenza un operaio, a parità di età e di anni di contributi, si godrà la propria pensione per meno tempo di un dirigente. Queste diseguaglianze sono ulteriormente ampliate dal fatto che, in base a quanto stabilito dalla legge Fornero, per poter andare in pensione a 67 anni bisogna non solo avere almeno 20 anni di contributi ma è necessario anche aver maturato un assegno previdenziale pari almeno a 1,5 volte l’importo dell’Assegno sociale.

Ma l’importo dell’assegno previdenziale, dalla riforma Dini in poi, si basa unicamente sui contributi versati. In pratica un lavoratore ogni mese versa il 33% del suo stipendio in contributi: va da sé che chi guadagna poco verserà meno di chi guadagna molto. Alla fine della carriera lavorativa, la somma dei contributi viene moltiplicata per un coefficiente di trasformazione che cresce con l’aumentare dell’età. Se il risultato ottenuto non è pari almeno a 1,5 volte l’importo dell’Assegno sociale, una persona non potrà andare in pensione nemmeno a 67 anni ma dovrà attendere fino a 71.

Di conseguenza chi guadagna poco sarà costretto a lavorare di più di chi guadagna molto. Chi guadagna molto potrà andare in pensione a soli 64 anni con 20 anni di contributi se il suo assegno previdenziale sarà pari almeno a 2,8 volte l’assegno sociale. Dunque un operaio potrebbe dover attendere 71 anni per andare in pensione mentre un dirigente potrà andarci a 64: ben 7 anni di differenza.

Se a questo aggiungiamo che un operaio, in media, vive 5 anni meno di un dirigente, la conseguenza è che un operaio potrà godere della propria pensione per circa 12 anni meno di un dirigente. La soluzione? Sicuramente il superamento della legge Fornero e poi rivedere i coefficienti di trasformazione anche sulla base del lavoro che una persona svolge.

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