La verità che tutti sanno ma che non è mai stata confermata da nessuno è venuta alla luce. I nostri dispositivi ci ascoltano in modo attivo.
Spesso se ne parla scherzando, accusando i dispositivi elettronici di ascoltare le nostre discussioni per poi proporci qualcosa di terribilmente affine alle nostre necessità. Altre persone invece ne sono completamente terrorizzate, sentendo la propria privacy invasa da chissà chi ascolterà quegli stralci di discussione. È proprio così, i dispositivi ci ascoltano e lo fanno per profilarci. Ma come è venuta alla luce la verità che un po’ tutti conoscevano?
Perché i nostri dispositivi ci ascoltano
Che si tratti di smartphone, smart watch, assistenti vocali o qualsiasi cosa abbia un microfono e sia connesso a internet, potete star certi che vi stanno ascoltando. Vi sarà capitato di parlare di qualcosa con un amico o con la vostra famiglia e ritrovarvi “casualmente” delle inserzioni inerenti proprio a quell’argomento, pur non avendo mai effettuato alcuni tipo di ricerca in merito. Ebbene, per quanto molti abbiano la fobia degli assistenti vocali, gli smartphone sono i primi ad ascoltarci per proporci le pubblicità più adatte.
Per molto tempo queste teorie di “spionaggio” sono state tacciate come fake news, cercando di sviare l’attenzione dall’argomento. Eppure recentemente è accaduto qualcosa che potrebbe essere il primo tassello verso la verità del marketing dietro i microfoni dei dispositivi elettronici.
Come è venuto alla luce
Recentemente un’azienda di marketing online, che collabora tra i tanti con Google e Amazon ha iniziato a pubblicizzare la sua tecnica di vendita basata sul servizio cosiddetto di “ascolto attivo”, dedicato alle aziende che vogliono pubblicizzarsi online.
L’azienda dichiara infatti di utilizzare regolarmente le conversazioni che vengono intercettate dai microfoni dei vari dispositivi, siamo smartphone o smart TV, per conoscere i gusti degli utenti e proporre le giuste offerte commerciali.
In questo caso a svolgere il lavoro è un’AI che inizia a lavorare quando capisce che un utente sta iniziando una conversazione interessante ai fini commerciali. In quel momento attiva il microfono e ascolta le conversazioni pre-acquisto.
La stessa azienda è serena nell’utilizzare questo metodo, dichiarando che è lo stesso utente a dare il consenso all’ascolto attivo quando, installando un’app, accorda i permessi per accedere ai dati raccolti tramite microfono, permessi che molti elargiscono senza nemmeno leggere.
Tutto ciò servirebbe quindi a fornire una migliore esperienza agli utenti sia per gli acquisti che per quello che riguarda i loro interessi. Google e Amazon si dissociano da questa metodologia, il primo dichiarando che Android invia un messaggio nella barra di notifica se un’app accede al telefono, l’altro affermando che sui suoi dispositivi l’active listening è di fatto impossibile.
Quel che è certo è che quando accettiamo i termini di servizio delle applicazioni sarebbe bene controllare a cosa stiamo dando il nostro consenso.