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Economia

Pensione dopo 35 anni di lavoro, le nuove regole tagliano la cifra: pensionati in rivolta

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Susanna Bargiacchi

La pensione dopo 35 anni di lavoro ha delle nuove regole. La cifra ne risente e i pensionati sono nuovamente perplessi.

Pensione dopo 35 anni di lavoro

 

Ritirarsi dal mercato del lavoro dopo 35 anni di contributi potrebbe non garantire una pensione sufficiente a mantenere un tenore di vita adeguato. Le recenti normative per il calcolo della pensione, influenzate dalla legge Dini e dalla riforma Fornero attuata dal 1° gennaio 2012, richiedono infatti uno stipendio costantemente elevato per ottenere un importo pensionistico soddisfacente. Inoltre, la data del pensionamento gioca un ruolo cruciale: con il metodo contributivo, il coefficiente di trasformazione usato per convertire stipendi e anni di lavoro in pensione aumenta con l’avanzare dell’età di ritiro dal lavoro.

Come si calcola la pensione con le nuove regole

Attualmente, per il periodo successivo al 1° gennaio 1996 (o al 1° gennaio 2012 per chi al 31 dicembre 1995 vantava almeno 18 anni di contributi), le pensioni sono calcolate con il metodo contributivo. Questo sistema prevede il calcolo dei contributi versati all’INPS o al fondo di appartenenza (per i liberi professionisti) in base all’aliquota prevista dalla gestione di riferimento: per i lavoratori subordinati è del 33% dello stipendio lordo, mentre per gli iscritti alla Gestione Separata solitamente è del 35%.

I contributi versati vengono rivalutati periodicamente in base all’andamento del costo della vita. Così facendo, si accumula il montante contributivo che, una volta giunto il momento della pensione, viene trasformato in rendita tramite l’applicazione del coefficiente di trasformazione.

Quanto spetta di pensione dopo 35 anni di lavoro

L’importo della pensione dopo 35 anni di lavoro varia notevolmente in base a diversi fattori. Per comprendere meglio il funzionamento delle nuove regole, prendiamo come esempio un lavoratore ipotetico, Tizio.

Nei primi 10 anni di lavoro, Tizio ha percepito uno stipendio medio di 1.000 euro al mese, versando complessivamente 42.900 euro di contributi. Poi dopo 10 anni, con uno stipendio medio di 2.000 euro al mese, ha aggiunto 85.800 euro al montante contributivo. Nei successivi 15 anni, guadagnando 2.500 euro al mese, ha versato 160.875 euro. In totale, ha accumulato 289.575 euro di contributi, che con la rivalutazione arrivano a un montante di 300.000 euro.

Se Tizio va in pensione a 67 anni, con un coefficiente di trasformazione del 5,723%, otterrà una pensione annua di 17.169 euro, pari a circa 1.320 euro al mese. Questo importo è significativamente inferiore rispetto all’ultimo stipendio percepito, costringendo il pensionato a rivedere il proprio budget o a cercare altre fonti di reddito.

Pensionato-

 

Nonostante gli ultimi 15 anni di lavoro con uno stipendio medio di 2.500 euro, i primi anni di guadagno basso hanno avuto un impatto decisivo sull’importo finale della pensione. Con le vecchie regole del metodo retributivo, che consideravano solo gli ultimi anni di lavoro, la pensione sarebbe stata più alta, evidenziando una differenza sostanziale rispetto al metodo contributivo.

Queste nuove regole hanno sollevato un’ondata di malcontento tra i pensionati, che vedono i loro sacrifici e anni di lavoro non adeguatamente ricompensati. Le proteste si fanno sempre più accese, chiedendo una revisione delle normative per garantire una pensione dignitosa a chi ha dedicato la propria vita al lavoro.

Susanna Bargiacchi

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